Ci sarà un senso, un senso a tutto questo

Quante volte mi capita di pormi quella domanda. È una domanda che arriva così, all’improvviso, quando meno me l’aspetto. Ma arriva. Mi coglie di sorpresa. Mi tormenta. Mi seduce. Insomma… ci sono certi avvenimenti, nel corso della mia esistenza, che quasi naturalmente mi portano a chiedermi: ma c’è un senso a tutto questo? E se c’è, qual è? Perché?

Ci sono delle volte in cui mi rispondo che un senso, la Vita, ce l’ha. E si chiama Morte. La Morte sembra essere il metro di tutto, il fine ineluttabile di ogni cosa, l’entropia cioè il caos finale a cui tutti noi siamo inesorabilmente destinati. Sono momenti di sofferenza, momenti in cui sono avvolto nella solitudine interiore. Sono quegli attimi, quegli approdi, quelle pennellate, che paiono senza colore. Grigie. Come una giornata di pioggia che non finisce mai, come un banco di nebbia che impedisce alle navi di salpare, come un pittore che imbianca un vecchio muro con un pennello senza setole. Una malattia, che ti impedisce di abbracciare un amico, di sorridere ad un bambino, di ribellarti al tuo infido destino.

Sono quelli, i momenti più difficili. Sembra che non ci sia un motivo, in tutto questo, che ogni nostra singola azione sia priva di senso perché prima o poi bisogna andarsene. Che senso ha darsi da fare e affrontare il mondo con tutte le sue fatiche, le sue sofferenze, le sue storture, le sue delusioni e le sue malinconie, se tanto poi bisogna morire? Che senso ha amarla, la Vita, se già sappiamo che prima o poi ci tradirà? Qual’è il motivo che ci induce a correrle dietro, corteggiarla, sedurla, se poi questa Vita altro non è che una vacua illusione che sta in mezzo a due eterne parentesi di infinita non-esistenza?

Senza contare che non siamo padroni del nostro destino. Perché è inutile negarlo: il libero arbitrio, la libertà, l’autodeterminazione, forse, sono solo delle pie illusioni. Tutto è predeterminato, tutto è programmato. Ogni istante della nostra esistenza si basa su delle infinite catene di coincidenze di fronte alle quali noi siamo completamente inermi ed impotenti. Non possiamo prevederlo, il momento in cui moriremo. Non abbiamo deciso se e quando nascere, non potremo decidere quando andarcene. E questo è frustrante per uno come me che ama infinitamente la libertà, per uno che odia il potere e la sottomissione e la programmazione degli eventi!

Però è così che stanno le cose. Oggi ci siamo, domani chissà… basta un nonnulla. Un’inezia. Quindi, che senso ha il tutto se poi il tutto finisce? Purtroppo, questa, altro non è che uno di quei tanti quesiti senza risposta, un enigma senza soluzione, una foresta senza via d’uscita. Uno si può lambiccare il cervello dedicando tutto il proprio tempo alla ricerca di questo senso, di questa risposta, ma poi alla fine si renderà conto di essere solo in grado di riformulare diversamente la domanda.

E così, solo e sconsolato, prendo a camminare incerto lungo le grigie strade della Vita o di quel mistero che noi chiamiamo Vita. Sono accompagnato dal vento gelido che stiletta le mie guance arrossate, che presto diventano degli infiniti mari dove navigano delle lacrime che lentamente corrono verso il mento e il collo, fino a rimanere spiaccicate nella mano tutta pelle e ossa. Sono circondato dal gelo e dalla nebbia, dall’indifferenza e dalla malinconia, dalla solitudine e dalla paura. Paura di non restare, paura di non durare, paura di un domani che si fa via via sempre più incerto. Ma paura anche di un presente che sento distante, che m’impedisce di esprimere appieno le mille sfaccettature della mia turbolenta personalità.

Ma poi, all’improvviso, sento dei passi che si muovono nella nebbia. Qualcuno mi tocca il cappotto ed io, avviluppato nell’incertezza del domani e abbracciato al trasognato vagheggiamento di quel passato che non c’è più, mi volto. E vedo la risposta, o almeno, una delle tante possibili risposte. Una parvenza di soluzione, forse una migliore formulazione della domanda, ma comunque qualcosa che mi sorprende con una ventata d’aria calda. Con il sole, un insolito tepore, un fazzoletto di seta che mi asciuga il viso malinconico. Non servono le parole, perché in certe occasioni basta uno sguardo per dirsi tutto. Basta un sorriso, una pacca sulla spalla, un invito a proseguire ad andare avanti. Insieme.

Insieme, ecco tutto. Con un parente, con un amico, con un compagno d’avventure, con un amore ritrovato. Non si dà un senso a tutto quanto, se si sta insieme, ma quantomeno ci si può permettere di ignorare quell’infido dilemma. Che importanza ha trovare il senso della Vita? Ci è capitata, ecco tutto. A ciascuno di noi, è capitata. E che fatica… che fortuna abbiamo avuto, il giorno in cui siamo diventati Vita! Siamo tutti dei vincitori, se siamo qui, siamo tutti degli eroi. E se ancora esistiamo, un motivo c’è, un motivo ci sarà. In un romanzo, nessun personaggio entra in scena senza uno scopo. Avremo uno compito, una missione, un obiettivo da portare avanti. Un senso.

E qual è, quindi, questo senso? E chi lo sa… solo il Narratore, lo sa. Sembra inutile star qui a gingillarsi in inutili questioni, perché la verità – cioè quell’istinto animale che ruggisce ancora dentro di noi – ci dice che vivere è il nostro unico imperativo categorico. Unirci agli altri che vivono, vivere insieme a loro. Camminare insieme a loro. Respirare insieme a loro. E ridere, e scherzare, e amare. Ma anche piangere, soffrire, tormentarsi. Ma sempre insieme. Poi, quando il nostro personaggio avrà assolto la sua funzione, se ne andrà. Anche gli altri, se ne andranno. E non sarà la fine. Ma il fine.

Che cos’è, quindi, la Vita? Non lo so, mi rendo conto che ancora non lo so. Nessuno lo sa. Ma forse proprio perché è una domanda senza senso, una domanda che non esige risposta. Intanto, noi ci siamo. Io ci sono. Respiro. Cammino. Rido. Piango. Magari sarò uno di quelli che campa fino a cent’anni o forse oggi è il mio ultimo giorno di vita, e ancora non lo so. Basta poco. C’è sempre quell’incredibile catena di coincidenze che, così come ha decretato il nostro inizio, può facilmente decretare la nostra fine. Una catena che non dipende da nessuno, non dipende da niente, se non da quell’eterno Narratore che sta scrivendo il romanzo della nostra Vita..

Lui lo sa, qual’è il fine. Uno scrittore sa sempre quello che scrive, sa già come andrà a finire il suo romanzo. Un romanzo composto da una moltitudine di personaggi che interagiscono tra loro. Personaggi che nascono, vivono e muoiono. Nascono quando vuole lui, muoiono quando e come vuole lui. E non è vero che è la Morte, il metro di tutto. È la vita. Certo… è la vita, la forza ineluttabile verso cui converge ogni cosa. Se non esistesse la Vita, non esisterebbe manco la Morte. E quindi è la Morte che è succube alla Vita, è la Morte che viene schiacciata dalla Vita, è la Morte che è destinata all’entropia cioè al caos finale.

Non è forse un privilegio, la Morte? Un privilegio dettato dal fatto che muore solo chi è nato. E nascere, della fin dei conti, è sempre meglio alla sua alternativa che è non-nascere. Chi non nasce non ha nulla da raccontare, non ha nessun motivo per crogiolarsi nel dubbio, non ha nulla per cui vale la pena lottare. Nessuno da amare. Nessuno che lo ama.

È vero… prima o poi, quel romanzo finirà. Nessun libro dura in eterno, nessuna opera è priva di finale. Ma un libro non lo si giudica dal fatto che sia finito, bensì dal fatto che sia durato. Lo si guarda per quello che è, lo si apprezza o lo si disprezza per quello che racconta. Di certo, non importa il quando. E non importa neanche il perché. Importa il come. Importa il con chi. Importa il per chi. Per tutto il resto… Insciallah. Se Dio vuole, se il Destino ce lo permette, se il Narratore ce lo consente.

Alessandro Frosio

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2 pensieri riguardo “Ci sarà un senso, un senso a tutto questo

  1. Mi sento di dedicare queste mie riflessioni a tutti coloro che si interrogano sul senso della Vita, a tutti coloro che hanno perso la via maestra, a chi si sente avvilito e abbandonato.
    Ma soprattutto, mi sento in dovere di dedicarle a lei, Oriana Fallaci, visto che lei aveva capito tutto questo quando io non ero ancora vita. Questo racconto è nato in seguito alle mie attente letture di due tra i suoi libri più celebri che consiglio a tutti di leggere:
    – Insciallah – 1990 – Rizzoli;
    – Lettera ad un bambino mai nato – 1975 – Rizzoli.

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